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"A nord di Lampedusa"

Inchieste
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Erano passate da poco le 3, di una umida notte d’ottobre: il 3 ottobre 2013. Una nave vagava in balia

del mare a poche centinaia di metri dalle coste di Lampedusa, era partita 25 ore prima dalla Libia. Il mare era calmo, la traversata del Mediterraneo era andata bene per i cinquecento e più passeggeri (stipati su una barca che ne avrebbe potuti ospitare 35).

La spiaggia dei Conigli, uno dei luoghi più incantevoli dell’isola, era là davanti, a poche centinaia di metri. Dalla barca si distinguevano benissimo le luci delle case e delle auto. Tutti si abbracciavano e urlavano di gioia, si sentivano in salvo, quando il motore andò in panne, e il comandante ebbe la luminosa idea di dare fuoco ad una coperta, nella speranza di richiamare l’attenzione dei soccorsi.

LA TRAGEDIA

In pochi istanti scoppiò la tragedia: le fiamme terrorizzarono i passeggeri che si trovavano sottocoperta. Centinaia di persone tentarono di sfuggire alle fiamme e la nave cominciò ad oscillare pericolosamente. Urla, mani che cercavano disperatamente un appiglio, corpi schiacciati, incastrati, costretti uno sull’altro. Una bolgia incontrollabile, tutto il peso andò a gravare sul fianco di una carretta del mare che era arrivata fino lì per miracolo.

E così, il disastro: 368 dei 500 occupanti della barca non videro mai più la luce del giorno, si persero per sempre nelle profondità del mare. Erano quasi tutti originari dell’Eritrea, un Paese che negli anni ’90 fu la speranza dell’Africa, ma si è poi trasformato in una delle peggiori dittature del Continente. Ecco perché a quella barca avevano affidato il sogno di una vita migliore.

Mentre si consumava la tragedia, una piccola imbarcazione ciondolava blandamente fra le onde, con i suoi otto passeggeri. Otto amici, abitanti dell’isola, quella notte avevano deciso di dormire in rada per andare a pesca molto presto, il mattino dopo. Vito Fiorino, il proprietario dell’imbarcazione, la Gamar, non aveva quasi mai dormito a bordo.

Alle sei del mattino Alessandro, uno degli amici di Vito, venne svegliato dal “vucià”, da mille voci che sentiva arrivare dal mare. Lo chiamò, e andarono ad ascoltare insieme quei rumori. Sembravano gabbiani. Nel dubbio però, decisero di andare a verificare. Accesero il motore e si spinsero al largo: una, dieci, cento e più voci di persone che chiedevano disperatamente aiuto. “Subito pensai che avremmo potuto salvarne quattro o cinque, la nostra barca era già al completo con noi otto, e invece riuscimmo a portarne a bordo 47”. Vito non dimenticherà mai la paura che lo pervase in quei tragici momenti, ma non si lasciò sopraffare dall’emozione: “Erano sporchi di gasolio, nudi, infreddoliti. Abbiamo dato loro le nostre magliette, anche i nostri pantaloni, perché si vergognavano, soprattutto dopo aver visto che avevamo anche delle donne a bordo”. Quei ragazzi rimasero a Lampedusa per qualche giorno, alcuni per settimane. Molti furono nutriti e vestiti dagli isolani, quasi tutti sono in contatto ancora oggi con i loro ospiti, amici, che ormai considerano fratelli.

RIUSCÌ A SALVARNE 47

Quella notte, segnò una svolta nell’esistenza di Vito. Da allora non volle più uscire in mare, lo ha fatto solo in rari casi, trascinato dai figli. Ha venduto la sua barca, la “Gamar”, che oggi porta i turisti ad ammirare le coste dell’isola. Per lunghi anni Vito non volle nemmeno parlare delle emozioni forti che provò quella notte, fino a quando Gariwo, un’organizzazione non profit, decise di nominarlo “Giusto dell’umanità”. Era il 2018. Per la prima volta, dovette raccontare la sua storia: “Riuscii incredibilmente a parlare per una ventina di minuti. Prima, appena iniziavo a ricordare quei momenti, scoppiavo a piangere”. Oggi anche a Nichelino, nel Giardino dei Giusti di via del Pascolo 13, Gariwo ha dedicato uno degli alberi a Vito.

Dopo quel primo incontro, non si è più fermato: incontri nelle scuole, conferenze, interviste… Ha capito che è importante raccontare quanto accadde quella notte, ma anche il prima, e il dopo: “Bisogna far capire le motivazioni che spingono queste persone ad emigrare, perché devono lasciare i loro Paesi d’origine, schiacciati dalle dittature. Bisogna far capire alla nostra gente che non affrontano questi viaggi a cuor leggero, anzi: sono terrorizzati, ma non trovano altra via per sperare in un futuro migliore”. Vito poi ricorda anche che queste persone solo in rari casi si fermano in Italia, molti infatti vanno in altri Paesi dove trovano più facilmente lavoro e spesso anche assistenza da parte dello Stato.

Solomon, Ambesagier, Henok, Amanier sono solo alcuni dei 47 naufraghi che Vito ha salvato. Dopo quella tragica notte, fra loro è nata un’amicizia vera, figlia di un sentimento di gratitudine che li legherà per sempre. Vito ha una storia simile a quella di molti nichelinesi: nato in Puglia ed emigrato a Milano con la sua famiglia, fin da piccolo ha patito fame e discriminazione. Anche per questo si sente molto vicino a questi giovani eritrei, che ora lo chiamano “papà”. In quella tragica notte non ha solo regalato un futuro a 47 persone, ma ha anche dato una svolta alla sua vita: ora ha “figli” e “nipoti” in diversi Paesi d’Europa, e non solo.

Davide Demichelis


 “A NORD DI LAMPEDUSA”

Che fine hanno fatto i 47 eritrei che Vito salvò quella notte? Lo racconta un documentario, realizzato con la collaborazione della Fondazione Compagnia di San Paolo. Davide Demichelis, autore del filmato con Alessandro Rocca, segue Vito Fiorino mentre va a trovare le persone che salvò e che ora vivono in Svezia, Norvegia, Olanda e Germania.

Il documentario verrà proiettato a Nichelino, presso il Centro Nicola Grosa, (via Galimberti 3) venerdì 31 ottobre alle 2030, alla presenza degli autori e di Vito Fiorino. Alla serata, promossa dall’Assessorato alla Pace, interverranno anche il sindaco Giampiero Tolardo e l’assessore alla Pace Alessandro Azzolina. L’ingresso è libero