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80 anni fa... era una radiosa domenica di sole

C'era una volta
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Siccome sono vecchio come il cuculo, avevo già iniziato a raccontarvi con un anno di anticipo la prima parte della storia

di quella “radiosa domenica di sole”.

Ma la storia va avanti…e quindi ecco la seconda, perché proprio tra qualche giorno è l’80° anniversario di quell’evento.

Quella domenica nel Calendario Gregoriano portava infatti la data del 4 Giugno 1944 e si era in piena guerra mondiale con bombardamenti aerei continui. L’Italia era divisa in due, con massacri fucilazioni e impiccagioni dappertutto! Sembrava arrivata la fine del mondo!

Io ero un adolescente quattordicenne e abitavo in via Nizza 416, di fronte al Dazio del Lingotto. I miei genitori erano contadini e avevano in cura campi di grano, granoturco e prati di erba, compreso il tappeto erboso del Campo d’Aviazione Mirafiori, in società con la famiglia Garino. Avevamo anche una quarantina di vacche da latte con diversi garzoni che le accudivano e le mungevano. Al pascolo ci andavo anch’io con le mucche. A tutte queste cose se ne aggiungeva una terribile: la guerra. I giovani militari se potevano si davano alla macchia o entravano nel Movimento Partigiano, rischiando però quotidianamente, la cattura, quindi la morte per impiccagione o fucilazione.

Quella domenica mattina ero andato a Messa dove c’era l’antica parrocchia del Lingotto. Me ne stavo tornando a casa con una dozzina di amici coetanei. Arrivati sul ponte Traiano (il corso non era ancora costruito) suonò l’allarme aereo.

A tutto fiato cominciai a correre per raggiungere un rifugio. In piazza Bengasi il più sicuro era quello dei Vigili del Fuoco di via Corrado Corradino. Tuttavia, per iniziativa di mio padre, ne avevano costruito uno più vicino, all’inizio della piazza guardando verso Moncalieri. Ero certo che mia mamma e la nonna paterna fossero lì. Ma io non riuscii a raggiungerlo perché il bombardamento aereo stava iniziando. Non mi restò altro da fare che buttarmi a terra facendomi ruzzolare più a sinistra che potevo, perché sulla destra c’era un distributore di benzina. L’inferno dal cielo si scatenò terribile sulla terra!

Oggi, a quasi 80 anni di distanza da quel giorno, se ci penso provo ancora un groppo allo stomaco simile a quello che sentivo quando ero supino sul selciato. La terra sussultava come mossa dal terremoto sussultorio e mi sfasciava il petto e le viscere.

ADDIO SOGNI DI GLORIA

Pensavo: “La guerra l’abbiamo voluta noi”, l’hanno voluta il duce, il fhurer e il popolo – checché se ne dica – non l’ha impedita! Ci siamo permessi di entrare in casa d’altri come se fosse casa nostra.

Pochi anni prima si era nei giorni del trionfo: l’Africa Orientale diventata AOI Africa Orientale Italiana. Mussolini era il Duce indiscusso: pensava di aver fatto della nostra Italia una Nazione Imperiale. La gente lo applaudiva con pazza frenesia. Non possiamo inzuccherare la pillola della storia! A me non riesce di dimenticare le piazze oceaniche del duce.  Il Re, piccolino, Vittorio Emanuele III, approvava e godeva, portato in braccio dalle coccole del dittatore. Lui si sentiva Re d’Italia, Re d’Albania e Imperatore d’Etiopia. 

Noi studentelli con le nostre solenni divise, che indossavamo ogni sabato, quali “Figli della Lupa”, “Balilla” e “Avanguardisti”, sfilavamo pettoruti ed orgogliosi. E cantavamo convinti: “Per il Duce e per il Re, eija eija alala!”. O sempre al Duce: “Dio ti manda all’Italia come manda la luce”.  Allora gridavamo anche l’urlo di guerra: “Dio stramaledica gli inglesi!”  Era questa la pedagogia scolastica della mia infanzia! Noi eravamo “premurosamente seguiti” dall’ONB (Opera Nazionale Balilla).

UN QUARTIERE DISTRUTTO

Ma torniamo a quel bombardamento del 4 giugno 1944: colpì l’aeroporto, la fabbrica RIV, ferì la FIAT Lingotto e sfiorò la FIAT Mirafiori, ma il 90% degli ordigni distrusse case e uccise gente inerme.  Il quartiere Lingotto fu cancellato all’80% e i morti furono circa trecento, tutta gente umile che non poteva lasciare la casa o sfollare: non sapeva dove fuggire!

Ricordo l’infinito sconquasso di quelle bombe, il peso violento che all’improvviso arrivò a comprimermi il corpo supino. Ero come una sardina in scatola, quando mi buttai sul selciato di piazza Bengasi. E poi, quel pauroso silenzio… Quando mi districai da quel ciarpame di terra e di macerie, ero lacero nei vestiti, ma soprattutto non vedevo nulla. Dopo un po’ che tremavo come un ebete, si avvicinò un uomo anche lui inzaccherato e bianco di calcinacci. Era mio zio paterno Pinotto, detto Notu in piemontese. Il volto era bianco da far spavento per la polvere delle esplosioni. Anche lui non era riuscito a raggiungere il rifugio. Ci abbracciammo. La nostra casa era vicina, ma la nebbia color polvere di mattoni era così fitta da non lasciarci vedere oltre i 2 o 3 metri. Andammo insieme verso il rifugio dove si erano riparate la mamma e la nonna, che ritrovammo. Retrocedemmo verso il vicino dazio comunale, procedendo a tastoni per cercare la nostra casa che era lì davanti, ma restava schermata dal polverone. Il cancello era divelto, il tetto semi distrutto mentre i cani abbaiavano disperati e le galline si erano intersecate una nell’altra apparendoci come una palla di piume. Ci volle un gran lavoro per attraversare il cortile sulle macerie del tetto, sui coppi, sugli infissi che lo ostruivano.

Arrivò pure mio padre con la bicicletta a spalle, entrò in cucina senza dover aprire la porta perché non c’era più, ma trovò subito, schiacciata in un angolo, la pentola di rame, sgangherata, con il “bollito” mezzo cotto. Me lo consegnò ed io andai sulla via Nizza, dove una tubazione interrotta dalle bombe schizzava a diversi metri da terra l’acqua potabile. Fu lì che lavai la carne mezza cotta e poi, con l’aiuto di papà, che era pure cuoco, attizzammo un fuoco nel cortile per completare la cottura di quanto avevamo recuperato. Incredibile!

Questo mi accadde all’età di 14 anni, ed ora vado per i 94…!

Scavalcando tra le rovine la gente, che si era salvata fuggendo o nascondendosi nelle cantine delle case rimaste, rientrava e contava i sopravvissuti. I pompieri e i soldati medicavano le persone ferite o le estraevano dalle macerie oppure avanzavano con barelle improvvisate.

Poi arrivò don Vincenzo Serra, il Parroco del Lingotto. Un uomo eroico! Non si allontanò mai dai suoi parrocchiani. Si informò dei sopravvissuti e ci disse subito che la chiesa della parrocchia del Lingotto era stata completamente distrutta. Sotto le macerie era morto l’amatissimo vice parroco, don Fiorello Bellora. Mi ricordo come fosse adesso che lì scoppiai in un pianto dirotto: don Fiorello l’avevo visto un’ora prima e aveva celebrato lui la Messa dei ragazzi.

Nel primo pomeriggio, proprio mentre si stava estraendo dalle macerie il corpo di don Fiorello, arrivò un funzionario della Fiat. Vide il parroco in lacrime: “Signor Parroco, la chiesa la rifaremo!”, gli disse. Quel funzionario era l’amministratore delegato, il Prof. Vittorio Valletta che nel dopoguerra sarebbe poi stato presidente della Fiat per vent’anni. E don Serra gli rispose: “Oh sì, grazie, ma don Fiorello non lo rifaremo più!”. “Ha ragione – aggiunse Valletta - lui e quegli operai uccisi non li rifaremo più…”. La Fiat si offrì poi di ricostruire la chiesa, ma don Serra preferì che costruissero l’oratorio (inaugurato nel 1947) dove era urgente accogliere la gente e i ragazzi che ormai vivevano stravolti e sbandati. Don Vincenzo Serra fu un grande prete e un grande uomo, anche se l’abbiamo inconsciamente dimenticato.

Don Paolo Gariglio

P.S. Il 4 Giugno 1944 Roma venne liberata dal nazifascismo ad opera degli americani, in coincidenza di quella “radiosa mattinata di sole” che vide la distruzione di Lingotto, di Barriera di Nizza provocando danni anche a Borgo S. Pietro di Moncalieri.